Una delle voci più alte e singolari della poesia italiana del Novecento, Leonardo Sinisgalli, nacque a Montemurro, in provincia di Potenza, il 9 marzo del 1908. Scoperto da Ungaretti, fu definito "il poeta ingegnere" perchè nella vita era davvero un ingegnere. Sbarcato a Roma giovanissimo, ivi compì gli studi e successivamente entrò nel mondo del lavoro, servendo le bandiere della Pirelli, della Finmeccanica e dell'ENI. Negli anni 50 fondò e diresse per alcuni anni la rivista "CIVILTA' DELLE MACCHINE". La sua originalità consiste nel tentativo di accordare la scienza al sentimento, la geometrìa all'arte, la matematica alla poesìa. Un tecnocrate poeta, dunque. Sinisgalli recupera il concetto della poesìa che non significa soltanto esprimere buoni sentimenti in forma più o meno letteraria, ma significa sopratutto, oltre ad avere coscienza del significato delle parole usate, obbedire a precise regole matematiche codificate già dall'antichità e che solo apparentemente il verso libero degli ultimi cent'anni ha stravolto. La poesìa segue una sua logica musicale, che, volente o nolente, segue a sua volta una logica aritmetica. Non a caso chi è poeta molto spesso è anche musicista (non dimentichiamoci mai che poesìa viene da poièsis, che in greco classico è una delle forme più avanzate del verbo fare, in pratica "costruire, architettare"), e spesso anche matematico. Il matematico Renato Caccioppoli, napoletano, di cui parla a volte il suo illustre concittadino De Crescenzo, e morto suicida, aveva una schermatura mentale del tutto simile a quella del mitico poeta francese Mallarmè, morto nella seconda metà dell'Ottocento. Il "furor poeticus", quindi, non è dissimile al "furor mathematicus", perchè ambedue s'interrogano sul mistero delle cose. Sinisgalli, in particolare, strappato alla sua Lucania fin da giovanissimo, conferisce alla sua poesia uno sguardo retrospettivo, da "ricerca del tempo perduto" di proustiana memoria. Una poesia popolata di oggetti apparentemente insignificanti, ma tutti intensamente cari alla memoria: questo segna in quegli anni il passaggio ad un tipo di poesìa contaminata dal sociale e dal verismo. Questa strada verrà poi seguita da un altro grande poeta del Sud, Rocco Scotellaro, che ne amplierà le tematiche fino a sfociare in una poesia corale, epica e dai tratti socialisti. Tra i titoli più famosi di Sinisgalli, "Vidi le Muse", "Campi Elisi", "Nuovi Campi Elisi", "La vigna vecchia" e "Dimenticatoio". Scrisse anche varie opere in prosa fra cui, appunto, "Furor Mathematicus". Leonardo Sinisgalli è scomparso a Roma il 31 gennaio del 1981. Ecco una delle sue liriche più affascinanti, dal titolo "LUCANIA".
Al pellegrino che s'affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell'orizzonte
con un rettile negli artigli, all'emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall'esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.
Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d'oro, problematico e sottile,
divora l'olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l'erba alle soglie dei vecchi paesi franati.
Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l'odoroso palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull'erba
sulle selci lascia le grandi chiazze
zeppe di larve.
Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granturco, granofino)
ed il vino non è squillante (menta
dell'Agri, basilico del Basento)
e l'uliva ha il gusto dell'oblìo,
il sapore del pianto.
In un'aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatte per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l'inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell'abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare
e di tarantole.
Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
Tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Udrò fumare le stoppie, le sterpaje,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?
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