martedì 24 gennaio 2012

LEONARDO SINISGALLI

arton9724-d5397Una delle voci più alte e singolari della poesia italiana del Novecento, Leonardo Sinisgalli, nacque a Montemurro, in provincia di Potenza, il 9 marzo del 1908. Scoperto da Ungaretti, fu definito "il poeta ingegnere" perchè nella vita era davvero un ingegnere. Sbarcato a Roma giovanissimo, ivi compì gli studi e successivamente entrò nel mondo del lavoro, servendo le bandiere della Pirelli, della Finmeccanica e dell'ENI. Negli anni 50 fondò e diresse per alcuni anni la rivista "CIVILTA' DELLE MACCHINE". La sua originalità consiste nel tentativo di accordare la scienza al sentimento, la geometrìa all'arte, la matematica alla poesìa. Un tecnocrate poeta, dunque. Sinisgalli recupera il concetto della poesìa che non significa soltanto esprimere buoni sentimenti in forma più o meno letteraria, ma significa sopratutto, oltre ad avere coscienza del significato delle parole usate, obbedire a precise regole matematiche codificate già dall'antichità e che solo apparentemente il verso libero degli ultimi cent'anni ha stravolto. La poesìa segue una sua logica musicale, che, volente o nolente, segue a sua volta una logica aritmetica. Non a caso chi è poeta molto spesso è anche musicista (non dimentichiamoci mai che poesìa viene da poièsis, che in greco classico è una delle forme più avanzate del verbo fare, in pratica "costruire, architettare"), e spesso anche matematico. Il matematico Renato Caccioppoli, napoletano, di cui parla a volte il suo illustre concittadino De Crescenzo, e morto suicida, aveva una schermatura mentale del tutto simile a quella del mitico poeta francese Mallarmè, morto nella seconda metà dell'Ottocento. Il "furor poeticus", quindi, non è dissimile al "furor mathematicus", perchè ambedue s'interrogano sul mistero delle cose. Sinisgalli, in particolare, strappato alla sua Lucania fin da giovanissimo, conferisce alla sua poesia uno sguardo retrospettivo, da "ricerca del tempo perduto" di proustiana memoria. Una poesia popolata di oggetti apparentemente insignificanti, ma tutti intensamente cari alla memoria: questo segna in quegli anni il passaggio ad un tipo di poesìa contaminata dal sociale e dal verismo. Questa strada verrà poi seguita da un altro grande poeta del Sud, Rocco Scotellaro, che ne amplierà le tematiche fino a sfociare in una poesia corale, epica e dai tratti socialisti. Tra i titoli più famosi di Sinisgalli, "Vidi le Muse", "Campi Elisi", "Nuovi Campi Elisi", "La vigna vecchia" e "Dimenticatoio". Scrisse anche varie opere in prosa fra cui, appunto, "Furor Mathematicus". Leonardo Sinisgalli è scomparso a Roma il 31 gennaio del 1981. Ecco una delle sue liriche più affascinanti, dal titolo "LUCANIA".


Al  pellegrino  che  s'affaccia  ai  suoi  valichi,
a  chi  scende  per  la  stretta  degli  Alburni
o  fa  il  cammino  delle  pecore  lungo  le  coste  della  Serra,
al  nibbio  che  rompe  il  filo  dell'orizzonte
con  un  rettile  negli  artigli,  all'emigrante,  al  soldato,
a  chi  torna  dai  santuari  o  dall'esilio,  a  chi  dorme
negli  ovili,  al  pastore,  al  mezzadro,  al  mercante
la  Lucania  apre  le  sue  lande,
le  sue  valli  dove  i  fiumi  scorrono  lenti
come  fiumi  di  polvere.

Lo  spirito  del  silenzio  sta  nei  luoghi
della  mia  dolorosa  provincia.  Da  Elea  a  Metaponto,
sofistico  e  d'oro,  problematico  e  sottile,
divora  l'olio  nelle  chiese,  mette  il  cappuccio
nelle  case,  fa  il  monaco  nelle  grotte,  cresce
con  l'erba  alle  soglie  dei  vecchi  paesi  franati.
Il  sole  sbieco  sui  lauri,  il  sole  buono
con le  grandi  corna,  l'odoroso  palato,
il  sole  avido  di  bambini,  eccolo  per  le  piazze!

Ha  il  passo  pigro  del  bue,  e  sull'erba
sulle  selci  lascia  le  grandi  chiazze
zeppe  di larve.
Terra  di  mamme  grasse,  di  padri  scuri
e  lustri  come  scheletri,  piena  di  galli
e  di  cani,  di  boschi  e  di  calcare,  terra
magra  dove  il  grano  cresce  a stento
(carosella,  granturco,  granofino)
ed  il  vino  non  è  squillante  (menta
dell'Agri,  basilico  del  Basento)
e  l'uliva  ha  il  gusto  dell'oblìo,
il  sapore  del  pianto.

In  un'aria  vulcanica,  fortemente  accensibile,
gli  alberi  respirano  con  un  palpito  inconsueto;
le  querce  ingrossano  i  ceppi  con  la  sostanza  del  cielo.
Cumuli  di  macerie  restano  intatte  per  secoli:
nessuno  rivolta  una  pietra  per  non  inorridire.
Sotto  ogni  pietra,  dico,  ha  l'inferno  il  suo  ombelico.
Solo un  ragazzo  può  sporgersi  agli  orli
dell'abisso  per  cogliere  il  nettare
tra  i  cespi  brulicanti  di  zanzare
e  di  tarantole.

Io  tornerò  vivo  sotto  le  tue  piogge  rosse.
Tornerò  senza  colpe  a  battere  il  tamburo,
a  legare  il  mulo  alla  porta,
a  raccogliere  lumache  negli  orti.
Udrò  fumare  le  stoppie,  le  sterpaje,
le  fosse,  udrò  il  merlo  cantare
sotto  i  letti,  udrò  la  gatta
cantare  sui  sepolcri?

Nessun commento:

Posta un commento