lunedì 2 dicembre 2013

PABLO NERUDA



Se non fosse perchè i tuoi occhi hanno color di luna,
di giorno con argilla, con lavoro, con fuoco,
e tieni imprigionata l'agilità dell'aria,
se non fosse perchè sei una settimana d'ambra,

se non fosse perchè sei il momento giallo
in cui l'autunno sale su pei rampicanti
e anche sei il pane che la luna fragrante
elabora passeggiando la sua farina pel cielo,

 oh, adorata, io non t'amerei!
Nel tuo abbraccio io abbraccio ciò ch'esiste,
l'arena, il tempo, l'albero della pioggia,

e tutto vive perchè io viva:
senz'andare sì lungi posso veder tutto:
vedo nella tua vita tutto ciò che vive.

martedì 22 ottobre 2013

CARLO PORTA


Carlo Porta (1775-1821), è stato un poeta milanese che ha scritto commedie e poemetti in dialetto meneghino. E' stato tra i fondatori del Teatro Patriottico, oggi detto dei Filodrammatici. Fu amico di Alessandro Manzoni e di Tommaso Grossi. Le sue poesie sono in molti casi, come questo, caustiche e assai mordaci. Fu anche traduttore della "Divina Commedia" in dialetto milanese, facendone però una traduzione idiomatica e non letterale, come la quasi totalità dei traduttori di Dante nei vari dialetti ha sempre fatto.



I putann ai "damm del bescottin"



Malarbetti slandrónn del bescottin,
tanto ruzz, tant spuell contro i putann!
Perché? Perché la dan per pocch lanfànn
e la dan minga sott a balducchin?
Vergogna! Tasii là ch'el semm anch nun
perché cossa bajee; bajee, bajee
perché sii vecc strangòsser che morbee,
che no voeur refilavel pù nessun.
E quand serev bej, gioven e grassott
e stagn e prosperos, disii, o damazz,
serev allora inscì nemis del cazz?
la davev forsi via per nagott?
Nagott on corno! i mee delicadonn,
domandeghel on poo ai voster servent
coss'han spes ogni voeulta a mettel dent
in quij vost illustrissem figazzonn.
E i palch e i carroccett e i sorbettitt
e i faravóst e i scenn e i mascarad
e i accòrd e i bigliett e i fest, i entrad,
hin danee, facc de porchi! o fasóritt?
E poeù gh'avii el mostàcc, veggiann calvàri,
de romp el cuu al Governo per fà esclud
quij tosann che la dan per on mezz scud?
Citto là: sii nanch degn de stagh in pari.

Le puttane alle "dame del biscottino"


Maledette donnacce del biscottino,
tanto chiasso, tanto fracasso contro le puttane!
Perchè? Perchè la danno per poche monete
e (non) la danno mica sotto a (un) baldacchino?

Vergogna! Tacete là che lo sappiamo anche noi
per che cosa abbaiate; abbaiate, abbaiate
perchè siete vecchie megere che ammorbate,
che non vuol rifilarvelo più nessuno
E quando eravate belle, giovani e grassottelle
e sode e prosperose, dite, o gran dame,
eravate così nemiche del cazzo?
la davate forse via per niente?
Niente un corno! le mie delicatone,
domandatelo un po' ai vostri (cavalier) serventi
che cosa hanno speso ogni volta per metterlo dentro
in quelle vostre illustrissime figazzone.
E i palchi e le carrozzelle e i sorbettini
e i ferragosti e le cene mascherate
e gli accordi e i biglietti e le feste, le entrate (ai vari spettacoli)
sono danari, facce da porche! o fagiolini?
E poi ci avete il mostaccio, vecchiacce orribili,
di rompere il culo al Governo per far escludere
quelle ragazze che la danno per un mezzo scudo?
Silenzio là: (non) siete neanche degne di stargli alla pari.

mercoledì 2 ottobre 2013

NEVIO SPADONI


Nevio Spadoni è nato a S. Pietro in Vincoli (Ravenna) nel 1949, ma dal 1984 risiede a Ravenna. Laureatosi presso l’Università di Bologna, ha insegnato fino a due anni fa Storia e Filosofia nelle Scuole Superiori. Vincitore di numerosi premi, collabora con giornali e riviste. Ha curato con Luciano Benini Sforza, poeta e docente di Lettere presso il Liceo Classico di Ravenna, l’antologia Le radici e il sogno. Poeti dialettali del secondo Novecento in Romagna, Edizioni Moby Dick, Faenza, 1996. In questi ultimi anni si è dedicato al teatro di poesia ottenendo con i suoi monologhi successi a livello internazionale, grazie alle interpretazioni dell'attrice Ermanna Montanari, sua compaesana e anima del Teatro delle Albe di Ravenna. Per conoscere il suo teatro è uscito nel 2003, stampato dalle Edizione del Girasole, sempre di Ravenna, il volume Teatro in dialetto romagnolo, con una nota di Gianni Celati.

U m'armànza ad te



U m’armânza ad te
di rez trapesa dal rôs,
un fil d’vósa alzira
coma ’na pioma ad piopa,
la camisa strufignêda.
Un udór sambêdgh
da la marena
int la séra,
ch’la n’è piò la nöstra.

(da Al voi)

MI RIMANE DI TE – Mi rimangono di te riccioli nascosti tra le rose, un filo di voce leggera come una piuma di pioppo, la camicia stropicciata. Un profumo selvatico dalla marina nella sera, che non è più la nostra.

venerdì 30 agosto 2013

SEAMUS HEANEY


E' scomparso un Premio Nobel per la letteratura, l'irlandese Seamus Heaney. Ecco una sua poesia.




Quatta quatta con il colpo in canna

Fra medio e pollice sta la penna.



Sotto la finestra un raspo netto all'internarsi

Della vanga nel terreno ghiaioso:

È mio padre che dissoda. Guardo in basso,

Finché sotto sforzo, a groppa curva

Sulle aiuole, torna venti anni indietro

Piegandosi a tempo per i solchi

Di patate che vangava.


A posto sul vangile lo scarpone,

Saldo fulcro del manico il ginocchio,

Cavava gambi, ficcava a fondo la lucente lama

Per spargere patate nuove che noi raccattavamo

Adorandone fresca la durezza nella mano.


Per Dio, il vecchio ci sapeva fare

Con la vanga. Come il suo vecchio.


Mio nonno in una giornata tagliava più torba

Di chiunque altro nella torbiera di Toner.

Una volta gli portai il latte in una bottiglia

Sciattamente turata con la carta.

Si raddrizzò per bere e subito riprese.


Con cura a fare tacche e fette, spalandosi le zolle

Dietro le spalle, sempre più a fondo

A cercare quella buona. Scavando.


Il freddo afrore di terriccio di patate, risucchio e stacco

Da torba in guazzo, secco taglio della lama

Nelle radici vive, mi si risvegliano in testa.

Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.


Fra medio e pollice

Quatta quatta sta la penna.

Sarà la mia vanga.




sabato 10 agosto 2013

LOUIS FERDINAND CELINE



Dal mitico autore del "Viaggio ai bordi della notte"


ecco a voi "La fuga"




Rotolando tra le labbra


il fremito soffuso d'una risacca disinvolta


risuona fino a tuonare


in questa tana accogliente.


Tutto assopito negli idiomi


della sarabanda resta


immoto. Anche il pendolo


è finalmente a piombo.


Malgrado talora affiorino


graffiti grommati di crepuscoli e


notti, crepe inarrivabili di brume, fiotti


di sorgente nulla sarà sfiorato,


nulla destato dal letargo meraviglioso,


nessuna inflessione troverà l'alba sperata.

Aspetteranno le mani


in questa brezza la tempesta


per fuggire sulla bocca


di quel che rimane.


domenica 21 luglio 2013

VICTOR CAVALLO


Vittorio Vitolo, in arte Victor Cavallo (Roma, 1947 - Roma, 2000), è stato un attore di teatro, cinema e Tv, ma anche poeta, molto influenzato dai poeti della beat generation che conobbe bene, anche di persona. Durante la prima edizione dell'Estate Romana del 1979, voluta dal mitico assessore alla cultura Renato Nicolini, presentò il festival di poesia sulla spiaggia di Castelporziano (28-30 giugno), a cui erano presenti infatti Allen Ginsberg, Peter Orlowski e il russo Evtushenko, tra gli altri. Questo testo incredibile risale appunto a quell'anno fatidico.



"Ce n'ho abbastanza " 



Ce n'ho abbastanza per comprarmi una bottiglia di vodka
un chilo di arance un amburg il pane tondo una birra
un pacchetto di marlboro.
E poi mangio l'amburg col pane tondo tostato e
bevo la birra e fumo la marlboro e poi spremo due
arance con la vodka.
E poi esco e incontro la più grande figa della mia
vita con gli occhi verdi e le ciglia nere e la bocca
rossa e le mani nervose e decidiamo cazzo di non
fare nessun film di non scrivere nessuna stronzata di non recitare
nessuna cagata e di non andare in campagna
e di non occuparci della casa né della merda né dei
capelli né dei comunisti.
Io butto nel fiume il trench di mio fratello
io compro i biglietti per la partita roma-river plate
io raccolgo gli occhi nella spazzatura
io accompagno mio figlio nel paradiso totale
senza nessun pericolo né gas né elettricità né politica
né bicchieri né coltelli né stanze di pavimento.
E lei scompare come le ore e appare come le ore
e me ne frego della pensione e me ne frego di morire
me ne frego dei fascisti e dovunque mi sdraio sogno
e ho sempre voglia di baciarla e gli alberi
respirano e le nuvole di merda si spaccano
e da dentro partono razzi luminosi
e dovunque sono vivo e non ho nessuna paura
né dei rinoceronti né dei serpenti né degli appuntamenti
e butto via l'elmetto e esco dalla trincea delle spalle di piombo
e mando affanculo tutti gli stronzi cagacazzi della terra
e grido come un'arancia stellare
e viaggio nella luce dell'ananas e cago cicche d'oro
sulla faccia dei nazi-igienisti maledetti
puliscicessi. Buttare via il tempo della vita
a lucidare i bidè e conservare i bicchieri
e sorridersi a culo sbarrato e invecchiare
come i più stronzi prima di noi.
Maledetti cagoni falsi e vigliacconi.

Lei apparirà. 
Bruciando i tampax dell'anima sanguinante.
Apparirà con gli occhi verdi e ciglia nere e bocca rossa
anima luminosa come arcobaleno puro
radice che spiega con tutta la chiarezza perché questa merda è merda
e finirò di vivere la vita con la paura di vivere la vita.


da 1° Guida Poetica Italiana, 1979





sabato 6 luglio 2013

LUCIANO MANZALINI


Luciano Manzalini è il magro dei "Gemelli Ruggeri", nota coppia comica bolognese rivelatasi negli anni 80 insieme al cosiddetto gruppo del "Gran Pavese", che comprendeva anche Lupo Solitario e Susy Blady. Da qualche tempo Luciano ha cominciato a esplorare anche l'universo poetico, e l'anno scorso ha pubblicato presso la bolognese Pendragon, la raccolta "L'amore svenuto", da cui traiamo questo bel testo iniziale.


Sai una cosa:
la vita dovrebbe essere più lunga,
sì,
anche solo per ascoltare
tutta la musica che c'è.
Dovremmo avere più tempo,
più possibilità,
e credo sarebbe nostro diritto,
quando incontriamo una persona
e la guardiamo negli occhi
o, più timidamente,
all'altezza delle ginocchia,
avere la garanzia di potere,
un giorno,
rivedere quegli occhi,
o quelle ginocchia.
E qualora ci ritrovassimo
in qualche luogo sperduto della terra,
raggiunto per caso,
probabilmente sbagliando anche strada,
dovremmo essere sicuri di poterlo ritrovare,
perlomeno in sogno.
Comunque,
adesso non andartene.









domenica 9 giugno 2013

VITTORIO SERENI


Nel 1947 usciva una piccola raccolta di 24 poesie di Sereni, dal titolo "Diario d'Algeria", che gli diede fama e notorietà. Fino a quell'anno, infatti, la sua notorietà era limitata ai pochi, anche all'epoca, cultori di poesia, i quali, però, si avvidero subito della "novità" di quella poesia, che rappresentava -con altre modalità espressive, certo- quello che aveva rappresentato nel 1917 "Il Porto Sepolto" (in seguito "L'Allegrìa") di Ungaretti. In pratica il racconto in versi della condizione esistenziale dell'uomo che vive e patisce la guerra delle trincee o della prigionìa. Il testo che proponiamo s'intitola "Italiano in Grecia", e reca la data "Pireo, agosto 1942". Sereni arriva in quel giorno ad Atene (il Pireo è lo sbocco sul mare della capitale greca). Sarà solo uno scalo di breve durata: il domani è l'Africa, il deserto libico. 



Prima sera d'Atene, esteso addio
dei convogli che filano ai tuoi lembi
colmi di strazio nel lungo semibujo

Come un cordoglio
ho lasciato l'estate sulle curve
e mare e deserto è il domani
senza più stagioni

Europa, Europa, che mi guardi
scendere inerme e assorto
in un mio esile mito tra le schiere
dei bruti, sono un tuo figlio in fuga
che non sa nemico se non la propria
tristezza o qualche rediviva tenerezza
di laghi, di fronde dietro i passi
perduti, sono vestito di polvere
e sole, e vado a dannarmi,
ad insabbiarmi per anni...



venerdì 24 maggio 2013

MARTHA MEDEIROS


Martha Medeiros è una giornalista e poetessa brasiliana nata a Porto Alegre nel 1961. Questo è un suo famosissimo testo risalente al 2000, che per anni è stato erroneamente attribuito a Pablo Neruda. 



Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.

Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce
o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

venerdì 10 maggio 2013

GUILLAUME APOLLINAIRE

Nato a Roma nel 1880 (il nome di battesimo è Guglielmo Apollinare) da una donna polacca, e figlio illegittimo di un ex ufficiale borbonico, muore a soli 38 anni a Parigi a causa della tristemente famosa influenza spagnola. La sua poesia, misconosciuta da vivo, viene fatta conoscere a partire dal 1919 per iniziativa di alcuni suoi amici letterati (tra cui Luis Aragon), e ora, dopo molti anni, Apollinaire viene riconosciuto unanimemente come uno dei più importanti poeti del primo Novecento. Questo testo è tratto da "Alcools", pubblicato nel 1913, considerato il suo capolavoro.



L'anemone e l'acquilegia
sono spuntati nel giardino
dove dorme la malinconia
tra l'amore e il disdegno

Vi vengono altresì le nostre ombre
che la notte disperderà
Il sole che le incupisce
con esse scomparirà

Le divinità delle acque vive
lasciano spiovere i loro capelli
Passa tu, devi inseguire
quella bell'ombra che vuoi


domenica 7 aprile 2013

CHARLES BUKOWSKI


Considerato poco come poeta, Bukowski è invece autore di testi magari non belli stilisticamente ma concettualmente molto efficaci, e con ritmi e tempi di grande effetto. Questo testo s'intitola "Un cavallo da 340 dollari e una puttana da 100", e risale ai primi anni '60.



Non vi venga l'idea che io sono un poeta;
mi trovate mezzo sbronzo all'ippodromo ogni giorno
a puntare su quarter, trottatori e purosangue,
ma, fatevelo dire, là ci sono delle donne
che seguono i quattrini, e qualche volta
quando guardi queste puttane da cento dollari
qualche volta ti domandi se la natura non ha scherzato
a regalare tanto petto e tanto culo
e come questo stia tutto insieme,
e tu guardi e guardi e guardi e non ci credi;
ci sono le donne qualsiasi e poi c'è
qualcos'altro che ti fà venir voglia
di sfondare quadri e spaccare dischi
di Beethoven sul coperchio del cesso;
in ogni modo la stagione si trascinava
e i pezzi grossi restavano in bolletta,
tutti i non professionisti, gli operatori, i produttori,
gli spacciatori di marijuana, i pellicciai,
gli stessi proprietari...

e quel giorno correva Sant Louis
un cavallo che rompeva quando il ritmo era serrato
correva a testa bassa, era brutto e cattivo
dato 35 a 1, e io puntai un deca su di lui;
il driver lo spinse molto largo
lo portò allo steccato dove sarebbe stato solo
anche dovendo fare il quadruplo di strada
e in effetti fu così
tutta la gara lungo lo steccato
correndo due miglia anzichè una
e vinse come se avesse avuto
il demonio dietro alle calcagna
e non era nemmeno stanco...

e la bionda più grossa di tutte
tutta tette e culo, nient'altro
praticamente
venne a riscuotere con me;
quella notte non riuscii a disfarla
anche se le molle sprizzavano scintille
che rimbalzavano sui muri;
più tardi, seduta in sottoveste
e bevendo "Old Grandad" mi disse:
"Come mai un tipo come te
  vive in una stamberga come questa?"
e io le dissi: "Sono un poeta"
e lei buttò indietro la bella testa e rise:
"Tu? Tu saresti... un poeta?"
"Proprio così" le dissi "Proprio così"
ed ancora mi piaceva, sì
mi piaceva ancora tanto,
e ringrazio ancora quel brutto cavallo
che mi ha fatto scrivere questa poesia.


sabato 2 marzo 2013

ROQUE DALTON

Io come te
amo l'amore, la vita, il
dolce incanto
delle cose, il paesaggio
celeste dei giorni di gennaio.

Anche il mio sangue bolle
e rido con occhi
che han conosciuto i
boccioli delle lacrime.

Credo che il mondo è
bello,
che la poesia è come il 
pane, di tutti.

E che le mie vene non
finiscono in me
ma nel sangue comune
di tutti coloro che lottano
per la vita,
l'amore,
le cose,
il paesaggio e il pane,
la poesia di tutti.



Roque Dalton (1935-1975), è stato poeta, giornalista ma sopratutto rivoluzionario salvadoregno. Fu amico personale di Fidel Castro e risiedette a Cuba dal 1960 al 1964. Considerato uno dei maggiori poeti latinoamericani, le sue raccolte gli valsero numerosi premi internazionali. Nel 2011, finalmente anche in Italia viene pubblicata una traduzione dei suoi testi migliori, "IL CIELO PER CAPPELLO", grazie all'Editore Multimedia.

sabato 9 febbraio 2013

SILVIA PLATH

A cinquant'anni esatti dalla scomparsa della grande poetessa americana, ecco una delle sue più belle composizioni.



L'aspirante


Prima di tutto ce li hai i requisiti?
Ce l'hai
un occhio di vetro, denti finti o una gruccia,
un tirante o un uncino,
seni di gomma, inguine di gomma,

rattoppi a qualcosa che manca? Ah
no? E allora che mai possiamo darti?
Smetti di piangere.
Apri la mano.
Vuota? Vuota. Ma ecco una mano

che la riempie, disposta
a porgere tazze di tè e sgominare emicranie,
e a fare ogni cosa che gli dirai.
La vorresti sposare?
È garantita,

ti tapperà gli occhi alla fine della vita
e del dolore.
Con quel sale ci rinnoviamo le scorte.
Vedo che sei nuda come un verme.
Che te ne pare di questo vestito-

Un po' rigido e nero, ma niente male.
Lo vorresti sposare?
È impermeabile, infrantumabile, abile
contro il fuoco e imbombardabile.
Credi a me, ti ci farai sotterrare.

E adesso, scusa, hai vuota la testa.
Ho la cosa che fa per te.
Su, su, carina, esci fuori dal guscio.
Ecco ti piace questa?
Nuda per cominciare come una pagina bianca

ma in venticinqu'anni d'argento,
d'oro in cinquanta, potrà diventare.
Una bambola viva, sotto ogni aspetto.
Sa cucire, sa cucinare,
sa parlare, parlare, parlare.

E funziona, non ha una magagna.
Qua c'è un buco, che è una manna.
Qua un occhio, una vera visione.
Ragazzo mio, è l'ultima occasione.
La vorresti sposare, sposare, sposare?

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-105987?f=a:3701>

venerdì 18 gennaio 2013

LAWRENCE FERLINGHETTI


Lawrence Ferlinghetti nato a Yonkers, New York, nel 1919 da padre italiano (originario probabilmente di Chiari in provincia di Brescia) e madre di origini franco-portoghesi, poeta, romanziere, traduttore, editore, pittore, autore di teatro e drammi radiofonici. Anima del Rinascimento Poetico di San Francisco che negli anni ‘50 sfida la concezione elitaria dell’arte e del ruolo dell’artista nel mondo, Ferlinghetti è stato protagonista negli ultimi sessant'anni di una straordinaria attività creativa, mai disgiunta da una profonda e continua attenzione a tematiche politiche, sociali ed ecologiche.

Laureatosi all’Università della North Carolina, nel 1941 si arruola nella Marina degli Stati Uniti, ma la visita a Nagasaki, distrutta dalla bomba atomica, lo trasforma in un “pacifista radicale”. Dopo aver conseguito un Master alla Columbia University e un dottorato all'Università della Sorbona, nel 1953 si stabilisce a San Francisco, dove fonda, assieme a Pete D. Martin, la City Lights Bookstore, libreria diventata, due anni dopo, anche casa editrice. Sin dall'inizio la City Lights pubblica i più importanti poeti dissidenti americani ed europei, gli autori della beat generation, e si impone come centro propulsore di fermenti culturali e artistici. Nel 1956, in seguito alla pubblicazione di “Urlo” di Allen Ginsberg, Ferlinghetti viene processato per vendita e diffusione di materiale osceno, riportando una storica vittoria legale contro la censura nella lotta per la libertà espressiva e di stampa. Ferlinghetti ha partecipato a molteplici festival e reading di poesia, dimostrandosi viaggiatore instancabile, vero guerriero poetico a difesa degli ultimi e del pianeta. Ha esposto in numerosi musei e gallerie, ricevendo svariati riconoscimenti: primo Poeta Laureato della città di San Francisco, membro permanente dell’Accademia americana delle arti e delle lettere e, recentemente, Commendatore al merito della Repubblica Italiana. Il suo “A Coney Island of the Mind”, tradotto in diverse lingue, è tra i libri di poesia più letti al mondo con oltre un milione di copie stampate.


 
 
Tutto cambia e niente cambia


Tutto cambia e niente cambia
Finiscono secoli
e tutto continua
come nulla finisse
Come le nubi ancora s’arrestano a mezzovolo come dirigibili presi tra venti contrari

E la febbre dell’efferata vita di città ancora strozza le strade
Ma ancora io sento cantare
ancora le voci dei poeti
mischiate agli schiamazzi delle troie
nell’antica Mannahatta
o nella Parigi di Baudelaire
echeggiare richiami d’uccelli
lungo i vicoli della storia
ora coi nomi cambiati
E ora siamo nel Novecento
e la Borsa è di nuovo crollata
E mio padre vagabonda qui vicino con il fedora in testa
occhi sui marciapiedi
un’unica lira italiana
e un centesimo che raffigura la testa di un indiano in tasca
Trafficanti di liquori e carri funebri passano al rallentatore
Risuona la campana di ferro di una chiesa
frammista agli allarmi delle macchine nell'anno duemila

Mentre abiti nuovi corrono al lavoro in grattacieli oscillanti
mentre gli strilloni ancora strillano annunciando l’ultima follia

E risate s’alzano
sul mare lontano