mercoledì 28 novembre 2012

PIETRO CIMATTI


Pietro Cimatti (Forlì1929 – 1991), nel 1946 si trasferisce con la madre a Roma. Si sposa nel 1957 con la pittrice Laura Giometti – con cui ha tre figli, Felice, Duccio e Ivano (detto Vanja) –, dalla quale si separa nel 1967. In punto di morte sposal'attrice cinematografica  Rosita Toros, sua compagna da molti anni. Dal 1959 al 1964 è redattore capo de la Fiera Letteraria .È stato collaboratore di diversi quotidiani e periodici, fra cui II popolo, Leggere, Prospettive meridionali, Il caffè, Vita, Civiltà delle macchine, Idea, Operare, Sorrisi e Canzoni, Il messaggero, e collaboratore ai programmi culturali della RAI. Dalla sua vita è stato tratto qualche anno fa lo spettacolo teatrale "Fuoco di Sagittario", rappresentato con successo al Teatro Diego Fabbri di Forlì. Questi testi sono tratti da "Stanze sulla Polveriera", il suo libro più famoso, edito nel 1978 da Rusconi.

Il grande ontano (il pioppo) schiuma il vento.
La piazza è una cascata di acqua assente.
Vampe d'Africa, ardente. Un gallo canta
da remoti pollai l'alba impaziente.
Nudo al richiamo esco sul crepitante
bujo nè sveglio nè dormiente.
Il nero pioppo (l'ontano) è la mia testa
di demente, la mia festa al presente.
Urlo in silenzio il terremoto
insonne del mio assenso.

Sempre è la prima notte (finchè stinge
la prima aurora sta il dormente nulla)
ma una serie di secoli la spinge,
umida imene e lacero vessillo.
Io non ricordo, è una stolta memoria
che s'inganna a inghiottire notti e giorni,
ombre di un affamato desiderio:
che tutto passi ma tutto ritorni.
Sempre è la prima notte, l'uomo muore
prima dell'alba, è subito l'aurora
che lo sottrae, nessuno ha visto ancora
due notti, siamo dormienti e gridiamo
nel sonno, notte è tutto ciò che abbiamo:
ma intende solo chi ha l'akba nel cuore.

L'alba cantata dai galli è assordante.
La testa del pioppo (populus nigra)
brulica di pidocchi cinguettanti.
Lampo zolfino è l'alba, e non c'è scampo.




sabato 10 novembre 2012

GIANNI MILANO


Torinese di origine, Gianni Milano è da sempre un attivista per i diritti civili e un personaggio notissimo all'interno del mondo libertario.



In memoria di Bruno Schultz 
 
 
Nell’universale pogrom di mosche non c’è spazio per colonne di piombo:
a fatica Sansone sorregge la sua testa l’idea fissa nel tempio del Signore:
come falci di onde latranti sono trascorsi i danzatori del principe Igor:
ora è pioggia fatale di neri bottoni di Pierrot che sotterrano le fate.
 
                                            Hanno vulve le fate?
 
Strascicando la sciarpa il cappotto dalle unghie corrotte il pendolo dormiente
barattiere di aleph di verderamati mozziconi d’antiquario e suggelli miracolosi
sulla linea di poroso catrame che geme falsi passi di lampione
alla ricerca di quel posto di quel posto-là.
 
                                           Hanno vulve le fate?
 
Attacchino d’arlecchineschi sberleffi di signori alla moda politici della parola
culi nudi dalla bocca aperta che colano colla lacrime appiccicose di bugie
quasi braci di seni che la notte promana da quarti di luce di manzo sventrato
dove dove seppelliscono i becchini le belle signore dell’incanto in ragnatele d’amianto?
 
                                          Hanno vulve le fate?
 
Uno spazio di certo c’è dove le cose, tutte, sparpagliate dal Golem isterico
giacciono a pancia all’aria rosicate sconnesse e ammutolite ma gloriose
perfidamente solidali con trame di polpastrelli di piano ed orme di passi di Luna,
la colpa non li incide non li decapita affatto: agli uomini ricostruire un senso.
 
                                         Hanno vulve le fate?
 
L’uccello di paglia all’incrocio tra il Tempo e l’Assenza vide passare in gioventù
per queste stesse arterie zoppicando seminando la forfora alle soste
illuminando gli angoli con spicchi d’occhi inverditi dall’angoscia
il raccattatore di fate – e c’era un botteghino in cui le fate
rendevano davvero, papillons dorés.
 
                                        Hanno vulve le fate?
 
Ha le dita macchiate d’inchiostro l’uomo di pietra che controlla il perenne
lagrimare della pompa dell’acqua che rinfresca i rayons i binari lucenti.
Odisseo delle rondini Odisseo dei colombi l’occhio a manca distilla
umore di mortale ferinità del sasso il tumore della pupilla
ferita dalla visione.
 
                                        Hanno vulve le fate?
 
E così senza meta strascicando il mio carro familiare come un cane di pezza
da una vita io mi filtro tra la pioggia di mosche alla ricerca delle fate.
Le affissioni grinteggiano col baffo rigido e la cornea ingiallita ma ho
un impegno d’amore un comizio in Eldorado una partita a carte con le ore
notturne un’arpa da suonare in onore dei morti di sogno un cavallo
in Guernica due o tre entrées per far ridere Alice un’adonica posa
per eccitare Teresa e così senza meta strascicando il mio carro
familiare, col moccio al naso…
 
                                       Hanno vulve le fate?
 
In confidenza – non farò caso ai polpastrelli nicotinici ai raptus
                          che si ingoiano le lampadine butterate:
in confidenza – da sottoscala a sottoscala, quanto può valere al mercato
                         dell’usato una profezia antica?
 
                                       Hanno vulve le fate.
 
                                                      
 
 
 
                                          GIANNI  MILANO 1983