venerdì 20 gennaio 2012

BRUNO MISEFARI



Bruno Misefari, calabrese, comincia a scrivere sui banchi di scuola, in tempi molto bui: la guerra di Libia, le rivolte sociali, la fame, la disoccupazione. La sua vena si affina durante l'esilio svizzero, dopo l'evasione dal carcere militare di Napoli. Nel 1917 a Zurigo conobbe la grande poetessa Ada Negri, donna animata da spirito socialista, che lo incoraggiò a continuare ma senza molto entusiasmo. Lei stessa era al giro di boa: stava per aderire all'interventismo di stampo mussoliniano, e la sua poetica volgeva verso la ricostruzione maniacale della propria infanzia triste ed infelice. Misefari prova a trovare uno stile suo proprio, ed in parte riesce in questo suo tentativo, ma purtroppo risente assai dei manierismi e degli idiomatismi tipici dei suoi tempi. Inoltre in quel momento rifulge l'astro di Abele Rizieri Ricciardi, in arte Bruno Novatore, poeta maledetto che si ispira alla frangia più violenta dell'anarchismo, al punto di concludere la sua breve vita in un conflitto a fuoco coi Carabinieri nel 1922, ma che colpisce e rapisce coi suoi versi impetuosi, infuocati e visionari. Bruno non avrà comunque molto tempo per coltivare la bella pianta della poesia: le sue scelte di vita sono estreme, per quegli anni, e lo sottoporranno a prove feroci. Sorvegliato speciale dalla polizia, più volte incercerato, boicottato nel suo lavoro da una multinazionale (!) del vetro, dato che tra i primi aveva intuito le grandi potenzialità della quarzite fusa nel vetro. Un tumore ce lo porta via il 12 giugno del 1936 a Roma. Pia Zanolli gli sopravviverà fino al 1980, custode fedele delle opere e della figura di Bruno. Una prima stampa delle sue opere viene curata nel 1969 da lei a Roma, e ora questa, che ha visto anche l'apporto di opere pittoriche e grafiche notevoli. La copertina, per esempio, è del grande Pablo Echaurren, ma non da meno sono le opere grafiche all'interno del libro, due delle quali sono realizzate da Patrizia Diamante.





Primi  capelli  bianchi  che  spuntate
sul  capo  stanco  della  mamma  mia,
esseri  inconsci,  quanto  mi  recate
crudeli  sbuffi  di malinconia...


Voi  non  sapete,  e  pur  tutto  svelate
il  vero  eterno  all'anima  restìa:
voi  nol  vedete  e  pur  me  l'indicate
quel  freddo  avello  che  da  lungi  spia...


Ed  io  qui  giaccio  mentre  voi  spuntate,
il  cuor  colmo  di  malinconia,
perchè  mi  dite  che  non  c'è  pietate,
e  che  sol  resto  sulla  fredda  via...


O  primi  capelli  bianchi  che  spuntate
sul  capo  stanco  della  mamma  mia.


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