lunedì 28 aprile 2025

ROBERTO ROVERSI


Libro fuggente per monti e foreste,
libro che ansante ritorni e ti siedi
a una finestra e guardi il mondo.
Invece io vedo un tarlo
fuggito da un Calepino
strisciare per un gradino
mentre fuori nel giardino
dove è sera è primavera.
Inutilmente corre via,
l'ho inseguito anche
nascosto nel legno
di una rilegatura...
il suo destino è segnato
finirò per schiacciarlo col piede
come un verme appestato
anzi no, farò in modo
che muoia di fame
come il conte Ugolino

lunedì 14 aprile 2025

DINO CAMPANA


In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose
erano le mie rose
Questo viaggio
chiamavamo amore
Col nostro sangue
e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento
al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite
sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano
le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P. S. E così dimenticammo le rose

giovedì 27 febbraio 2025

FRANCO LOI (1930-2021)

 

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,
forse memoria siamo, un soffio dell'aria,
ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,
forse il ricordo d'una qualche vita perduta,
un tuono che da lontano ci richiama,
la forma che sarà di altra progenie...

Ma come facciamo pietà, quanto dolore,
e quanta vita se la porta il vento!
Andiamo senza sapere, cantando gli inni,
e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.

(traduzione dal milanese)

giovedì 20 febbraio 2025

LORENZO PATARO

 

A soli 27 anni muore improvvisamente questo giovane poeta del Sud, una voce già molto solida e acclamata. Questo è una sua poesia inedita. Sono senza parole.


L’estate era solo il gridare dei falchi nella sera.
Quel restare sospesi a mezz’aria con le bocche
ancora cariche di sete, la pelle che chiamava
il suo destino, un’era geologica sottratta ai buchi neri
e poi spuntava dalla legge della luce
una brughiera, la tua fine verde-rame
predetta lungo il fiume da una maga,
l’estate era solo un pretesto per volare,
le corse lungo i campi, il grano che sfilava
i suoi chicchi a lievitare nel tuo seno,
c’era tutto, ogni tanto qualcosa si levava
dalla nebbia, brillava fra le ossa rimaste
a sbriciolarsi nella terra, allora un canto-amico
chiamava quei morti a radunarsi
nella mente dei rimasti, li evocava tutti
insieme, con le loro pelli sconce, i loro teschi
lucenti e di ossidiana e ancora il falco,
il falco della sera, sorvolava ogni scheggia
nella mischia, guardava ogni capello, contava
ogni rosario, sgranava i pensieri rimasti
a germogliare con i vermi e poi spuntava
uno che diceva di avere ancora fame,
una fame tanto antica che nessuno riusciva
mai a colmare, ci provava, ci provava,
ma la fame di quel morto era come un ansimare
qualcosa come un’onda che consuma
lo scoglio dove batte la sua furia.

 

 



martedì 11 febbraio 2025

VIRGILIA D'ANDREA

 

NON SONO VINTA!
No, non son vinta. Vibra, in me, più forte,
L’ardente fede ne l’angusta cella,
e frange i ferri e batte le ritorte,
l’onda del sogno, che il mio cor flagella.
No, non son morta. Ma più puri e alati
getta la penna, nei tumulti, i versi,
ed essi vanno, azzurri e fascinati,
verso il nitore di bei cieli tersi.
Quando da sola l’anima cammina,
e insidie e frodi il mondo le congiura,
e nel fosco de l’ombra essa indovina
che v’è l’agguato bieco o la sventura,
E passa e lotta e resistente avanza,
senza sgomento, verso l’alte cime,
ed aspra più diventa la distanza,
e più le sembra il sogno suo sublime;
Quando… pur triste… e fragile parvenza
inchioda, il mondo, ad ascoltar la voce,
che dalla cupa e turbinosa essenza
urla il martirio della ingiusta croce,
Allor s’è fatto di granito il core.
E non cede, non muta e non dispera:
canto è di sogno che, giammai, non muore. Fonte ingemmata di bellezza vera.
Oh! ben lo so… che se cantato avessi
le vostre glorie e le dorate sale…
se nel tumulto de la vita avessi
anch’io venduto o spento l’ideale,
Certo mi avreste aperto intero il mondo,
rose m’avreste sparse sul cammino,
rete di sogno mèmore e profondo…
Forse… l’alloro… in fondo al mio destino.
Ma ho cantato di cenci… e ho calpestato
tenero, il fior, de le languenti dame;
ma ho scoperto i solai… e ho profanato
L’aria col tanfo de l’occulta fame.
Ma ho cantato di stanchi e di perduti,
di desolati nei singhiozzi proni,
ho pianto sopra i morti ed i caduti,
E merito la gogna… e le prigioni.
Stringete, dunque, ancor… ferri e catene!
Le azzurre strofe mie battono l’ala
verso le lotte de le grandi arene.
Le raccoglie la teppa e le immortala.

venerdì 17 gennaio 2025

DURS GRUNBEIN (Dresda, 1962)

 

Di tanto in tanto vorrei appartenere
a una fra le piccole nazioni,
una di quelle in cui ogni parola conta,
perché le parole sono tutto ciò che uno ha.
Un’economia debole, niente calcio,
zero colossi imprenditoriali, industria automobilistica.
Trascurate, straziate da guerre,
battute sul mercato mondiale, ma dotate di
contorni netti sulla carta geografica –
la madrelingua quale unico filo che unisce.
E ognuno è assorto, per antica offesa,
come la balia nel dramma greco, che null’altro
possiede se non il suo sogno funesto,
tenuto dentro per secoli. E qualche po’ di
paesaggio, in paziente attesa del
momento in cui il pianeta si ribellerà


poesia tratta da Le parole non dormono, Crocetti Editore

sabato 28 dicembre 2024

ALESSANDRO MANZONI

 

RITRATTO  DI  SÈ  STESSO

 

 

Capel bruno, alta fronte, occhio loquace,

     Naso non grande e non soverchio umìle,

     Tonda la gota e di color vivace,

     Stretto labbro e vermiglio, e bocca esìle;

 

Lingua or spedita, or tarda, e non mai vile,

     Che il ver favella apertamente, o tace;

     Giovin d’anni e di senno, non audace,

     Duro di modi, ma di cor gentile.

 

La gloria amo, e le selve, e il biondo Iddio;

     Spregio, non odio mai, m’attristo spesso;

     Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.

 

All’ira presto, e più presto al perdono,

     Poco noto ad altrui, poco a me stesso,

     Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.