giovedì 27 febbraio 2025

FRANCO LOI (1930-2021)

 

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,
forse memoria siamo, un soffio dell'aria,
ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,
forse il ricordo d'una qualche vita perduta,
un tuono che da lontano ci richiama,
la forma che sarà di altra progenie...

Ma come facciamo pietà, quanto dolore,
e quanta vita se la porta il vento!
Andiamo senza sapere, cantando gli inni,
e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.

(traduzione dal milanese)

giovedì 20 febbraio 2025

LORENZO PATARO

 

A soli 27 anni muore improvvisamente questo giovane poeta del Sud, una voce già molto solida e acclamata. Questo è una sua poesia inedita. Sono senza parole.


L’estate era solo il gridare dei falchi nella sera.
Quel restare sospesi a mezz’aria con le bocche
ancora cariche di sete, la pelle che chiamava
il suo destino, un’era geologica sottratta ai buchi neri
e poi spuntava dalla legge della luce
una brughiera, la tua fine verde-rame
predetta lungo il fiume da una maga,
l’estate era solo un pretesto per volare,
le corse lungo i campi, il grano che sfilava
i suoi chicchi a lievitare nel tuo seno,
c’era tutto, ogni tanto qualcosa si levava
dalla nebbia, brillava fra le ossa rimaste
a sbriciolarsi nella terra, allora un canto-amico
chiamava quei morti a radunarsi
nella mente dei rimasti, li evocava tutti
insieme, con le loro pelli sconce, i loro teschi
lucenti e di ossidiana e ancora il falco,
il falco della sera, sorvolava ogni scheggia
nella mischia, guardava ogni capello, contava
ogni rosario, sgranava i pensieri rimasti
a germogliare con i vermi e poi spuntava
uno che diceva di avere ancora fame,
una fame tanto antica che nessuno riusciva
mai a colmare, ci provava, ci provava,
ma la fame di quel morto era come un ansimare
qualcosa come un’onda che consuma
lo scoglio dove batte la sua furia.

 

 



martedì 11 febbraio 2025

VIRGILIA D'ANDREA

 

NON SONO VINTA!
No, non son vinta. Vibra, in me, più forte,
L’ardente fede ne l’angusta cella,
e frange i ferri e batte le ritorte,
l’onda del sogno, che il mio cor flagella.
No, non son morta. Ma più puri e alati
getta la penna, nei tumulti, i versi,
ed essi vanno, azzurri e fascinati,
verso il nitore di bei cieli tersi.
Quando da sola l’anima cammina,
e insidie e frodi il mondo le congiura,
e nel fosco de l’ombra essa indovina
che v’è l’agguato bieco o la sventura,
E passa e lotta e resistente avanza,
senza sgomento, verso l’alte cime,
ed aspra più diventa la distanza,
e più le sembra il sogno suo sublime;
Quando… pur triste… e fragile parvenza
inchioda, il mondo, ad ascoltar la voce,
che dalla cupa e turbinosa essenza
urla il martirio della ingiusta croce,
Allor s’è fatto di granito il core.
E non cede, non muta e non dispera:
canto è di sogno che, giammai, non muore. Fonte ingemmata di bellezza vera.
Oh! ben lo so… che se cantato avessi
le vostre glorie e le dorate sale…
se nel tumulto de la vita avessi
anch’io venduto o spento l’ideale,
Certo mi avreste aperto intero il mondo,
rose m’avreste sparse sul cammino,
rete di sogno mèmore e profondo…
Forse… l’alloro… in fondo al mio destino.
Ma ho cantato di cenci… e ho calpestato
tenero, il fior, de le languenti dame;
ma ho scoperto i solai… e ho profanato
L’aria col tanfo de l’occulta fame.
Ma ho cantato di stanchi e di perduti,
di desolati nei singhiozzi proni,
ho pianto sopra i morti ed i caduti,
E merito la gogna… e le prigioni.
Stringete, dunque, ancor… ferri e catene!
Le azzurre strofe mie battono l’ala
verso le lotte de le grandi arene.
Le raccoglie la teppa e le immortala.

venerdì 17 gennaio 2025

DURS GRUNBEIN (Dresda, 1962)

 

Di tanto in tanto vorrei appartenere
a una fra le piccole nazioni,
una di quelle in cui ogni parola conta,
perché le parole sono tutto ciò che uno ha.
Un’economia debole, niente calcio,
zero colossi imprenditoriali, industria automobilistica.
Trascurate, straziate da guerre,
battute sul mercato mondiale, ma dotate di
contorni netti sulla carta geografica –
la madrelingua quale unico filo che unisce.
E ognuno è assorto, per antica offesa,
come la balia nel dramma greco, che null’altro
possiede se non il suo sogno funesto,
tenuto dentro per secoli. E qualche po’ di
paesaggio, in paziente attesa del
momento in cui il pianeta si ribellerà


poesia tratta da Le parole non dormono, Crocetti Editore

sabato 28 dicembre 2024

ALESSANDRO MANZONI

 

RITRATTO  DI  SÈ  STESSO

 

 

Capel bruno, alta fronte, occhio loquace,

     Naso non grande e non soverchio umìle,

     Tonda la gota e di color vivace,

     Stretto labbro e vermiglio, e bocca esìle;

 

Lingua or spedita, or tarda, e non mai vile,

     Che il ver favella apertamente, o tace;

     Giovin d’anni e di senno, non audace,

     Duro di modi, ma di cor gentile.

 

La gloria amo, e le selve, e il biondo Iddio;

     Spregio, non odio mai, m’attristo spesso;

     Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.

 

All’ira presto, e più presto al perdono,

     Poco noto ad altrui, poco a me stesso,

     Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.

venerdì 20 dicembre 2024

GIOSUE' CARDUCCI

 

DAVANTI  A  SAN  GUIDO


I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e — Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino —
Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!

Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —

— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei —
Guardando io rispondeva — oh di che cuore!

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.

E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.

E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!

E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;

E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —

Ed io — Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Titti — rispondea — ; lasciatem’ ire.
È la Titti come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —

— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.

O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!

— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. —

Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.

Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.


mercoledì 25 settembre 2024

RINO GAETANO (dall'album "Mio fratello è figlio unico")

 


Vecchi solai e ciminiere Lavatoi al decimo piano Fumo che sale il paradiso E gli angeli cadono giù La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga Una mansarda in via Condotti Moquette plafond cassettoni Giovani artisti e vecchie tardone Si realizzano nel nobile bridge La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga Giovane e bello divo e poeta Con un principio d'intossicazione aziendale Fatturato lordo la classifica che sale Il resto lo trova naïf La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga Castoro visone il conte dell'acqua Salmone caviale champagne La grande soubrette Brigitte La Cagne Coperta di cincillà La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga

Com'era bella Rosita
di bianco vestita
più bella che mai