sabato 28 dicembre 2024

ALESSANDRO MANZONI

 

RITRATTO  DI  SÈ  STESSO

 

 

Capel bruno, alta fronte, occhio loquace,

     Naso non grande e non soverchio umìle,

     Tonda la gota e di color vivace,

     Stretto labbro e vermiglio, e bocca esìle;

 

Lingua or spedita, or tarda, e non mai vile,

     Che il ver favella apertamente, o tace;

     Giovin d’anni e di senno, non audace,

     Duro di modi, ma di cor gentile.

 

La gloria amo, e le selve, e il biondo Iddio;

     Spregio, non odio mai, m’attristo spesso;

     Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.

 

All’ira presto, e più presto al perdono,

     Poco noto ad altrui, poco a me stesso,

     Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.

venerdì 20 dicembre 2024

GIOSUE' CARDUCCI

 

DAVANTI  A  SAN  GUIDO


I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e — Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino —
Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!

Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —

— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei —
Guardando io rispondeva — oh di che cuore!

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.

E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.

E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!

E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;

E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —

Ed io — Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Titti — rispondea — ; lasciatem’ ire.
È la Titti come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —

— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.

O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!

— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. —

Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.

Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.


mercoledì 25 settembre 2024

RINO GAETANO (dall'album "Mio fratello è figlio unico")

 


Vecchi solai e ciminiere Lavatoi al decimo piano Fumo che sale il paradiso E gli angeli cadono giù La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga Una mansarda in via Condotti Moquette plafond cassettoni Giovani artisti e vecchie tardone Si realizzano nel nobile bridge La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga Giovane e bello divo e poeta Con un principio d'intossicazione aziendale Fatturato lordo la classifica che sale Il resto lo trova naïf La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga Castoro visone il conte dell'acqua Salmone caviale champagne La grande soubrette Brigitte La Cagne Coperta di cincillà La zappa il tridente il rastrello la forca L'aratro il falcetto il crivello la vanga E la terra che spesso t'infanga

Com'era bella Rosita
di bianco vestita
più bella che mai

giovedì 19 settembre 2024

CHARLES BUKOWSKI


La frase "Don't Try" (Non provarci) incisa sulla tomba di Bukowski, riprende un concetto caro allo scrittore, secondo il quale è inutile provare a fare ciò di cui non si ha dentro non soltanto la passione, ma la necessità di farlo. Il riferimento esplicito è alla scrittura, ma può valere per qualsiasi altra aspirazione.

 

 "E così vorresti fare lo scrittore?"

 

Se non ti esplode dentro, a dispetto di tutto, non farlo,

a meno che non ti venga dritto dal cuore e dalla mente

e dalla bocca e dalle viscere, non farlo.

Se devi startene seduto per ore, a fissare lo schermo

del computer o curvo sulla macchina da scrivere

alla ricerca delle parole, non farlo.

Se lo fai solo per soldi o per fama, non farlo.

Se lo fai perché vuoi delle donne nel letto, non farlo.

Se devi startene lì a scrivere e riscrivere, non farlo,

se è già una fatica il solo pensiero di farlo, non farlo.

Se stai cercando di scrivere come qualcun altro, lascia perdere,

se devi aspettare che ti esca come un ruggito,

allora aspetta pazientemente, se non ti esce

mai come un ruggito, fai qualcos’altro.

Se prima devi leggerlo a tua moglie, o alla tua ragazza,

o al tuo ragazzo, o ai tuoi genitori, o comunque

a qualcuno, non sei pronto.

Non essere come tanti scrittori, non essere come tutte

quelle migliaia di persone che si definiscono scrittori,

non essere monotono o noioso e pretenzioso,

non farti consumare dall’autocompiacimento.

Le biblioteche del mondo hanno sbadigliato

fino ad addormentarsi per tipi come te.

Non aggiungerti a loro, non farlo.

A meno che non ti esca dall’anima come un razzo,

a meno che lo star fermo non ti porti alla follia

non farlo, a meno che il sole dentro di te

stia bruciandoti le viscere, non farlo.

Quando sarà veramente il momento,

e se sei predestinato,

si farà da sé e continuerà finché morirai

o morirà dentro di te.

Non c’è altro modo, e non c’è mai stato.


mercoledì 17 luglio 2024

LUCIANO BENINI SFORZA


"Nella notte scesa sulle scale"


Questa luce dimenticata accesa
nella notte scesa con le stelle sulle scale
vorrei averla dimenticata io,
per poterti trattenere più a lungo
nel cerchio aperto del mio sguardo.
Nel cuore delle mie stanze.
Ancora, sai, per un po’. Proprio come un battito
di ciglia o un ospite davvero caro. Atteso.
Come un viaggiatore, ti confesso, dei luoghi
piccoli o grandi della mia esistenza.
Questo fumo leggero, questo tuo odore
che non mi lascia, lo sento
salire via via i gradini, col vento
umido venuto fin qui da un mare
in fermento. Sarà lo scirocco che imperversa,
penso. Ma anche quel fumo vorrei
averlo acceso per te, seguendo la sigaretta
disegnare piano l’aria, sfiorare e giocare
libera con la tua bocca.
E poi guardarti con le parole dolci
di uno sguardo, per dirti di riporla via.
Cosa che faresti, lo so, senza opporti...
Spegnerla senza spegnere mai
il tempo che passa fra le ore della nostra pelle,
o questo abbraccio così sottile
e stretto, che ci avvolge e ci rende
all’improvviso
una cosa sola, viva per amore.

sabato 13 aprile 2024

FRANCESCO PETRARCA

 

Pace non trovo e non ho da far guerra 
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.

 

giovedì 11 gennaio 2024

LORENZO DE MEDICI - Trionfo di Bacco e Arianna

 

Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Quest’è Bacco e Arïanna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ’l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia
di doman non c’è certezza.

Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non può fare a Amor riparo
se non gente rozze e ingrate:
ora, insieme mescolate,
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Questa soma, che vien drieto
sopra l’asino, è Sileno:
così vecchio, è ebbro e lieto,
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s’altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi siam, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c’ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.